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 Il piacere del formaggio
 25/11/2012 22.00.56

Il piacere del formaggio piemontese e la sua convivialità

a cura di Rocco Lettieri

La leggenda narra che un giorno un pastore errante, che si accingeva ad attraversare una zona desertica, mise del latte in una sacca ricavata dallo stomaco di un agnello; il caglio presente naturalmente nella sacca e il calore del sole si combinarono separando il latte in cagliata e siero: nacque così il formaggio.

Storia di ieri

Nel mondo si fabbricano più di mille tipi diversi di formaggio, Francia e Italia in testa. Nei paesi della CEE consumiamo a testa annualmente 13,50 chili di questo derivato del latte: capofila la Francia con 18,7 poi l’Italia con 15,2 a seguire la Germania con 13.9, il Belgio, i Paesi Bassi, la Danimarca, ecc. Il consumo si è stabilizzato tanto nella gastronomia di pregio quanto in quella popolare raggiungendo tutti gli strati sociali, favorito anche dalle sofisticate tecnologie che hanno affinato le qualità organolettiche dei formaggi. Un vecchio adagio gastronomico diffuso in tutte le regioni italiane, suggerisce di terminare qualsiasi convito con un pezzettino di... formaggio. “La buca le miga stracca se la sent miga de vaca” (la bocca non è sazia se non sa di formaggio), si dice al Nord, “Mangia quello che vuoi ma lascia il finale al casu” si dice al Sud, chiamando il formaggio ancora col nome latino “caseus”. Non ha importanza se il cacio sia rappresentato da una scaglia di Parmigiano Reggiano oppure da uno stagionato pezzo di piccante pecorino romano o un ragusano: importante rimane il fatto che le papille gustative s’impregnino e trattengano, come ultimo sapore, quello del formaggio. Ignoriamo se il proverbio sia diffuso anche in altre nazioni: lo è certamente in quelle che s’affacciano sul bacino del Mediterraneo. Infatti, la civiltà mediterranea, ne fa fede la ricca letteratura sull’argomento, da Omero, ad Orazio, da Catone ai trattatisti e scrittori del secolo dei lumi, è una civiltà fondata sul formaggio. Il formaggio ha una storia lunga e complessa, perché lunga e complessa è anche la storia della sua accettazione. Essa si afferma come alimento senza alcuna riserva quando il processo scientifico e tecnico insieme sono in grado di spiegare i fenomeni relativi alla sua lavorazione e nascita. Il formaggio è il risultato di un processo di fermentazione del latte e della successiva maturazione del prodotto. Il processo fermentativo se non viene condotto tecnicamente può concludersi negativamente sino ad arrivare alla putrefazione. Nel mondo pre-scientifico ciò era molto comune perché erano ignoti i processi di trasformazione che avvengono nei componenti del latte. Bisogna attendere i progressi della chimica e della batteriologia casearia perché la fabbricazione del formaggio non venga considerata un arcano, il mysterium casei. In realtà sul consumo del formaggio, dal trecento al settecento, non esiste un’informazione adeguata, come si riscontra invece per il pane, per il vino e per la carne. Oltre ad essere una realtà difficile da decifrare, i latticini sono stati considerati, finora, nella storia dell’alimentazione, delle semplici comparse, sostituiti, in caso di bisogno, dai prodotti fondamentali, pane, carne, vino, e perciò oggetto di attenzione minore da parte di cronisti e scrittori georgici. Un’attenzione minore che rende oggi difficile e affascinante ricostruire la storia di un alimento che ha assunto, invece, un ruolo essenziale nella civiltà alimentare moderna.

Storia di oggi

Il formaggio, gustoso derivato del latte, è prodotto da oltre 2000 anni. È cibo quanto mai familiare in tutte le regioni d’Italia. Se ne contano almeno 400 qualità di cui ben 30 hanno ricevuto il riconoscimento DOP europeo. Si può affermare che sia un alimento tra i meno conosciuti anche tra i suoi più affezionati consumatori. Posizionamento dei pascoli, allevamento, selezione dei capi, mungitura, pratiche di stagionatura, tecniche di lavorazione ecc. certamente presuppongono la presenza di una civiltà evoluta. Ed è, infatti, proprio dai romani che ci pervengono segnali e punti di riferimento legati alla pastorizia e alla produzione dei formaggi. Ai nostri giorni, di là dalle generiche cognizioni per questo o per quel tipo di formaggio, - un Gorgonzola rispetto ad un Castelmagno, un Pecorino senese rispetto ad un Pecorino romano o sardo, il Parmigiano reggiano rispetto al Grana padano, un Bitto piuttosto che un Formai de mut - è ancora difficile, in sostanza per tutti, manifestare le ragioni del proprio favore o piacere, attraverso un codice specifico e decifrabile. Se per i vini esiste una scala d’interpretazione, nel caso dei formaggi una lacuna è rappresentata anche dal lessico appropriato. Il vino è sempre stato più seguito dalla stampa, dai media e dai cultori; al contrario il formaggio non ha mai avuto spazio sufficiente per emergere sotto quest’aspetto. Si dovrebbe sapere che il formaggio è essenzialmente un’aggregazione di sostanze grasse che estrinsecano profumi ed aromi solitamente d’intensità minore rispetto allo spessore del sapore. I lipidi saturano le papille gustative molto più prepotentemente dell’alcol del vino. Il bouquet dunque dà indicazioni meno immediate che per il vino; però, l’aspetto esteriore - crosta e colore della pasta, presenza di muffe, rugosità - suggeriscono una serie d’interessanti notizie sulla specie di formaggio: ripensiamo ancora - per esempio - ad un Raschera, ad un Montasio, alla Fontina, ad un Taleggio o ad una semplice ricotta. La composizione chimica del latte è pressoché costante nella sua percentuale, grassi, e proteine (nel formaggio di conseguenza può variare solo la percentuale di sale), e lo stesso può essere di provenienza vaccina e di bufala, ovina e caprina. Le sfumature organolettiche, tuttavia, sono molteplici grazie all’azione della flora microbica vivente.

L’oro del Piemonte: i formaggi degli alpeggi

In Piemonte le originarie popolazioni Gallo-Liguri conoscevano già l’arte di fare il formaggio, e la conquista romana non fece altro che incrementare la produzione di questo superbo prodotto, già diffuso nelle valli pedemontane, ricche di armenti e di alpeggi. Oggi il Piemonte conta parecchi formaggi a DOP (Denominazione d’Origine Protetta) vanto della Regione e gioia del palato, sul totale degli oltre 40 formaggi DOP d’Italia. Di alcuni raccontiamo la nascita e le caratteristiche: Bra, Castelmagno, Gorgonzola, Raschera, Robiola di Roccaverano, Toma Piemontese. I nomi sono presi dalle località o nati dall’antica arte dei pastori che partendo da semplici ingredienti hanno saputo dar vita a veri e propri prodigi alimentari.

Bra, antica tradizione di bontà.

Il formaggio prende il nome dall’omonima città che sorge sulla piana cuneese, principale mercato, nel passato, di questo straordinario formaggio. La produzione estiva è la più apprezzata dagli intenditori poiché in tale periodo essa è realizzata con latte di mandrie alimentate con foraggi verdi. Esistono due tipi di formaggio Bra: il Bra tenero, con pasta di colore bianco avorio e crosta grigio chiara, liscia ed elastica. Mirabilmente fragrante, morbido e dolce al palato, con una stagionatura che si aggira in media intorno ai 45 giorni. Il Bra duro, con stagionatura minima di sei mesi ed oltre, ha pasta di colore paglierino, gradevolmente profumato e lievemente piccante al palato. Le forme di Bra duro che superano i nove mesi possono essere utilizzate come eccellente formaggio da grattugia.

Castelmagno, il re dei sapori.

È un vero ed autentico re dei sapori. Un formaggio dalle origini antichissime come attestano diversi documenti che già lo posizionano nel XIII° secolo tra i prodotti da ricercare. Ottenuto con latte vaccino, eventualmente addizionato con latte di pecora e di capra, è un formaggio a pasta friabile di colore bianco avorio con crosta sottile giallo rossastra. Mi ricordo: erano i primi anni ‘70 ed una sera di settembre assaggiai per la prima volta il Castelmagno. Davanti a me è ancora presente la mezza forma dalla quale prelevavamo i pezzetti a pasta bianca, quasi gessata, ornata da qualche ghirigoro verdastri che partendo dalla crosta andavano perdendosi nell’interno. Un odore intenso, piccante, gradevole che colpiva le narici. In bocca la pasta del Castelmagno era cedevole e nel contempo elastica che si liquefaceva invadendo tutta la cavità orale col suo gusto particolarissimo. Il dolce, il sapido e il piccante giocavano una partita in perfetto equilibrio di forze, mentre il gusto-olfatto finale rimandava agli aromi di montagna, coi suoi profumi di erbe amare e di malga. Un unicum del suo genere. Purtroppo il Castelmagno che oggi troviamo sul bancone dei negozi e sulle tavole dei ristoranti, quando siamo fortunati, è un formaggio maledettamente giovane, bianco madreperla nella pasta che si frantuma perfino a guardarla. In bocca è acidulo, farinoso, senza grazia, quasi anonimo. Solo ogni tanto si ha la fortuna di assaggiare un Castelmagno discreto, dalla stagionatura sufficiente, dall’aroma tendente al piccante e qualche venatura verde-blu all’interno, con una pasta più compatta e più fondente. Il Consorzio si sta adoperando affinché qualcosa possa cambiare nella stagionatura di questo re dei formaggi.

Caratteristiche organolettiche:

Aspetto della pasta: si presenta di colore bianco-perlaceo o bianco-avorio; giallo ocra con, a volte, venature di erborinatura blu-verdastre se più stagionato. Alla consistenza la pasta si presenta friabile nelle forme più fresche, più compatta nelle forme stagionate.

Caratteristiche gusto-olfattive: gli aromi intensi e persistenti ricordano l’acido della fermentazione lattica, il foraggio secco di montagna ed il locale umido e fresco della stagionatura. Nell’aroma delle forme più fresche spicca principalmente il latte fermentato. Il sapore caratteristico del Castelmagno rimanda alle erbe aromatiche dei prati di montagna; è sapido, persistente ed assume contorni forti e piccanti nelle forme più stagionate. In bocca è friabile e finemente granuloso.

Consumo: ottimo da tavola o da cucina (gnocchi al Castelmagno)

Abbinamenti enoici: grandi vini rossi quali il Barolo e il Barbaresco di grandi millesimi quando il Castelmagno è maturo ed erborinato.

Gorgonzola, il gusto del verde.

Il Gorgonzola è un formaggio nato, si dice, per sbadataggine di un pastore, un “bergamino”, così erano chiamati i pastori che scendevano con le greggi verso le marcite della Padania dai monti della bergamasca e proseguivano lungo l’Adda sino ad arrivare a Gorgonzola. In questa località il fiume placava le sue acque dopo i balzi delle gole di Paderno e di Imbersago. Gorgonzola era pertanto la prima tappa dei bergamini verso la pianura. Le vacche vi giungevano stanche e il loro latte era magro: l’umile formaggio che se ne traeva era chiamato stracchino (dal lombardo stracch, stanco). Un latte che versato nelle conche, a stento riusciva a far affiorare la panna, quella poca che era destinata a fare burro e mascarpone. Non si conosce l’anno giusto in cui avvenne il fatto. Tradizione vuole che si sia cominciato a parlare poco dopo l’inizio dell’anno mille. Ritorniamo al bergamino che si dice, preso da altri pensieri - si era invaghito di una contadinotta - si dimenticò la cagliata destinata a diventare crescenza o quartirolo. La mattina dopo, accortosi dell’errore, unì il prodotto serale dimenticato con il latte munto di fresco e non ottenne né crescenza né quartirolo. L’unione delle due paste aveva creato, vedi caso il Gorgonzola. Un’altra storia racconta che il pastore/casaro protagonista vuol tentare una grossa impresa, vuol fare cioè una forma di quartirolo più grossa e diversa dalle solite. A metà lavoro si accorge, purtroppo, di non aver pasta a sufficienza. Rinvia perciò la conclusione all’indomani, quando disporrà di una nuova cagliata. La forma desiderata riesce, ma con risultati assai diversi: un formaggio molle che fece subito la muffa, il “gorgonzola” appunto. L’ultima ipotesi vede di mezzo un “oste della malora”. Uno di costoro operante in quel di Gorgonzola, alla richiesta di formaggio da parte di alcuni bevitori dal gomito alto, pensa di rifilare loro qualche fetta di quel formaggio che pensava fosse andato a male. Tanto, diceva tra se e se, costoro manco se ne accorgeranno. Successe invece il contrario. Il forte “stracchino” che ben si addice ai forti bevitori era assai meglio di quel pallido e magro quartirolo che serviva di solito. Il cacio servito, scomparve in un battibaleno, decretando la nascita e il successo del primo erborinato. Da allora l’oste si fornì di forme di formaggio che faceva maturare sino a che il “ penicillium glaucum ”, il fungo responsabile della nascita del Gorgonzola, non attaccava le forme che venivano poi servite con il nome di “stracchino verde”. In tal contesto è fuor di dubbio che la sua produzione avvenisse con il latte delle mungiture autunnali durante la transumanza di ritorno dalle malghe e che avesse un ben definito parallelo con altri formaggi lavorati in tutto l’arco alpino. Oggi tra le maggiori province produttrici, Novara raccoglie il 47,5%, Pavia il 22,6% e Milano il 14,8%. Il resto si divide tra Bergamo, Brescia, Como e Cremona in Lombardia e tra Cuneo, Vercelli e il Casalese in Piemonte. L’insieme di tutte queste zone costituisce l’area tipica di produzione e stagionatura indicata dalle leggi di Tutela di Denominazione d’Origine. Dal 1970 è operativo il Consorzio per la Tutela del Formaggio Gorgonzola che ha tra i suoi compiti specifici quello di vigilare sui sistemi di lavorazione, promuovere il consumo e vigilare sul commercio. La qualità e l’autenticità di questo formaggio è assicurata dalla confezione in alluminio recante un particolare rilievo di piccole “ g ” stampate su tutto il foglio avvolgente la forma.

Informazioni nutrizionali del gorgonzola

Il formaggio Gorgonzola è un erborinato molle, grasso a pasta dura, lavorato solo con latte proveniente dalla zona DOP. Ci vuole circa un quintale di latte per ottenere una forma di circa 12 Kg. Il Gorgonzola ha un alto contenuto minerale e vitaminico: è ricco di fosforo, calcio, vitamine A - B1 - B6 - B12 - PP. È inoltre caratterizzato da un’ottima digeribilità da mettere in collegamento con l’importante azione proteolitica svolta dalle muffe del genere “penicillium” durante il processo di maturazione del formaggio.

Abbinamento vini con il Gorgonzola

Il Gorgonzola è un particolare formaggio dall’aroma penetrante, acuto, dal sapore più o meno piccante che a volte mette in crisi qualche pur preparato palato. Sono appunto le varie sfumature di maturazione che possono creare problemi nell’abbinamento dei vini. Sugli accostamenti - altrimenti matrimoni o sposalizi - si potrebbe scrivere tutto e di tutto. Il formaggio è argomento che meriterebbe un lungo e minuzioso approfondimento. I gorgonzola, come pure i grandi erborinati - roquefort, stilton, blue cheese, castelmagno - presentano notevoli sfumature a livello di forma e a livello di produzione che i sottili equilibri sono suscettibili di grandi parametri.

A grandi linee possiamo affermare che:

- Il gorgonzola piccante richiede un vino rosso importante del tipo Porto oppure un vino del tipo Marsala Vergine. Validi sono anche alcuni vini botritizzati del tipo Orvieto amabile o dolce e vini provenienti dalla zona bordolese: i Sauternes.

- il gorgonzola dolce, cremoso, non disdegna vini bianchi secchi e freschi del tipo Riesling, Pinot Bianco e Frascati.

- il gorgonzola maturo ma non piccante richiede vini rossi leggeri quali Grignolino, Lagrein Kretzer, Lago di Caldaro, Chiaretto di Moniga del Garda, Castel del Monte rosato. L’abbinamento con i piatti classici a base di gorgonzola vanno valutati in funzione dell’elaborazione e dell’intensità del formaggio utilizzato.

Raschera, sulle vette del gusto.

Il vero segreto di questo formaggio, lo espresse bene Giovanni Arpino su La Stampa del 17 agosto 1978. “Ogni forma di Raschera ha un aroma, un sapore diverso; è il frutto prezioso di una lavorazione povera, che rimane esclusivamente artigianale, dove l’alpeggio in cui si sono nutrite le vacche, il tipo di legno scavato come recipiente per la lavorazione, la quantità di caglio, il locale e il tempo di stagionatura diventano elementi decisivi, che rendono unica ed irripetibile ogni partita, a volte ogni forma”. In effetti, la scelta è ardua. Ogni forma di Raschera ha qualità che differiscono anche per una semplice sfumatura. Anche nel nome questo formaggio è unico. Ne ha addirittura tre: Raschera, Raschiera e Rascaira. Varia a seconda della zona di produzione ma derivano tutti da una stessa località, ufficialmente Raschera, che è il nome di una conca con lago a 2108 metri dell’alto Monregalese, ai piedi del Monte Mongioie (2630 m.slm). Parliamo naturalmente del formaggio Raschera d’alpeggio, quello che si fa d’estate quando l’alpe viene caricato con le mucche di razza piemontese nata - si dice - dall’intrappolamento di un tipo bovino “Aurochs” avvenuto durante il periodo Pleistocenico, proveniente dal centro del continente euro-asiatico, l’attuale Pakistan. Si dice pertanto che il bovino piemontese sia una razza tauroindica antica che ben si adatta all’allevamento all’aperto potendo resistere a temperature e a elevate escursioni termiche: da + 35 a -10 C°. In effetti, il formaggio Raschera, nei tipi “Rotondo” e “Quadrato”, si produce da tempo immemorabile in tutto il territorio della provincia di Cuneo con epicentro la zona classica situata nei Comuni di Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Garessio per quanto attiene la Val Casotto, Magliano Alpi per la parte che confina con il Comune di Ormea, Montaldo Mondovì, Pamparato, Ormea, Roburent e Roccaforte Mondovì per la parte ricadente in Val Corsaglia, a quote superiori ai 900 metri sul livello del mare. Le notevoli richieste che provengono dal mercato sono da ricercarsi nella sua inconfondibile finezza e nelle sue tipiche caratteristiche organolettiche. Il Raschera in forma “Quadrata” è la più antica e trae origine dalla necessità e dalla possibilità di meglio trasportare il prodotto dall’Alpe a valle sui “basti” dei muli ove, le forme quadrate, più facili all’impilamento ed alla relativa legatura con corde, rendevano più sicuro e maneggevole il trasporto. Le caratteristiche organolettiche differiscono lievemente tra le due forme: la “Quadrata” è più delicata e fine, la “Rotonda” più sapida, più profumata con maggiori possibilità di maturazione. Il Raschera viene definito come formaggio semigrasso, crudo, a pasta pressata, semidura, di pasta color avorio o bianco avorio, elastica, di gusto delicato, burroso, profumato e, tipicamente piccante e salato se stagionato oltre i 60 giorni, con crosta color giallo grigio, rossastra con fioritura rossa sugli scalzi.

Robiola di Roccaverano, vivo piacere di bianco.

Roccaverano è un piccolo borgo situato nella parte meridionale della provincia d’Asti, dove le colline delle Langhe lambite dal “mareim” il vento del mare, sono solcate dai due rami della Bormida. In questa zona si produce un formaggio caratteristico dal profumo delicato, tenero e corposo: la Robiola di Roccaverano, che ha tradizioni antichissime che risalgono ai popoli Liguri-Celti. La robiola, che oggi è prodotta in dieci comuni dell’astigiano e nove della provincia d’Alessandria, è un formaggio a pasta fresca, tenera, compatta, prodotta attraverso una lunga coagulazione lattico-presamica di latte crudo caprino eventualmente aggiunto con latte ovino. Le caratteristiche uniche di delicatezza e suadenza di questo formaggio sono dovute all’alimentazione base degli animali che sulle alte coste è costituita da foraggio verde cui si aggiungono timo, rovi ed erbe aromatiche selvatiche che conferiscono specificità al latte crudo, mescolando la mungitura serale a quella mattutina. La robiola si può apprezzare fresca come pure stagionata quando acquista un sapore più marcato di gusto pieno e unico. È prodotto DOP dal 1 luglio 1996 ed ha un suo Consorzio che ha sede a Roccaverano.

TOMA PIEMONTESE, sapore unico di latte.

L’origine del nome toma lo troviamo in documenti della valle di Lanzo sin dal settecento ma non mancano chiari riferimenti anche nell’Otto e Novecento. Questo formaggio ha precise indicazioni legislative di produzione sin dal 1950 ma per quanto riguarda la zona di produzione essa è stata fissata con la richiesta di DOC che si è avuta nel 1993. Oggi la Toma piemontese è formaggio DOP dal 1/7/96 e la sua produzione è legata alle valli di Susa e di Lanzo e del Canavese con altri territori delle province di Novara, Vercelli, Biella, Cuneo ecc. È un formaggio semicotto prodotto da latte vaccino e può essere di due versioni: a pasta morbida e a pasta semidura. Poi si hanno selezioni di classica, classica morbida e classica grassa. Il peso non supera i due kg. Si presenta con crosta elastica e liscia, di colore che va dal paglierino al bruno rossiccio; la pasta è di colore bianco paglierino con occhiatura minuta, il sapore è delicatamente dolce nella toma a pasta morbida, diviene più intenso e fragrante nella toma a pasta semidura e con la stagionatura. La specificità della toma piemontese è da ricercarsi in alpeggio estivo quando le mucche sono libere di mangiare erbe sicuramente aromatiche e quindi di produrre un latte diverso da quello di stalla. Ha un Consorzio di Tutela con sede a Torino.

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Informazioni sui formaggi

Per una corretta informazione del lessico specifico dei formaggi, e relativa degustazione, suggeriamo alcune specifiche nozioni sia per quanto riguarda l’aspetto visivo che per quanto riguarda il lessico dell’aspetto tattile e gusto olfattivo.

Forma riferita alla geometria: ovale, tonda, cilindrica, piriforme, tronco conica.

Crosta per i formaggi stagionati: sottile, spessa, rugosa, a buccia di arancia, a somiglianza di corteccia

Aspetto della pasta: cremoso, gessoso, gessoso friabile, granuloso, scaglioso, colante, colante sotto la crosta (Gorgonzola), con occhiatura accennata (Grana padano), con occhiatura fine (Asiago), con occhiatura grande, (Emmental), con tessuto di fibre visibili (Mozzarella), con tessuto a fibre sfogliate (Provolone), spugnoso, duro, secco.

Colore della pasta: bianco panna, bianco gesso, bianco paglierino, paglierino, giallo cera, giallo arancio, nocciola chiaro, erborinato verde-grigio ecc.

Aroma: burroso, latteo, intenso, delicato, ricco, caprino, vaccino, di muffe nobili.

Consistenza: (al tatto e in bocca) cremosa, cedevole, elastica, compatta, friabile, compatta granulosa, burrosa.

Salinità: equilibrata, soave, accennata, piccante, piccante formico.

Sapore: acidulo, amarognolo, di panna, delicato, intenso, butirrico, erbaceo, piccante di erborinatura, con gusto di castagna, di nocciola, di mandorla.

L’abbinamento dei formaggi

Formaggi freschi non salati: Mascarpone, ricotta, robiolina, caciotte fresche, burrata delle Murge, tomino fresco, crescenza, ecc.

Vini bianchi, dal profumo leggero, rotondi, freschi.

Formaggi freschi salati: Fiore sardo, marzolino del Chianti, cacioricotta di Moliterno, primusali, pecorino fresco, provolone giovane, ecc.

Vini rossi non molto impegnativi, dal profumo leggero, moderatamente morbidi, appena tannici, leggermente caldi di alcool.

Formaggi a pasta molle: Robiole, taleggio, quartirolo, formaggelle, scamorze, burrini, ecc.

Vini rossi giovani e di corpo e buona personalità, con profumi abbastanza intensi, moderatamente morbidi, abbastanza tannici, leggermente alcolici.

Formaggi a pasta semicotta e semidura non stagionati: Fontina, caciocavallo, provolone giovane, formaggio d’alpeggio giovane, casera valtellinese, asiago, scimudin, monteveronese, montasio, ecc.

Vini rossi non giovani, dal profumo pronunciato, moderatamente mossi, discretamente alcolici, appena tannici.

Formaggi semigrassi a pasta dura cotta e poco stagionati: Raschera, scamorza, grano padano, provola, burrate, formaggio d’alpeggio di sei/otto mesi, pecorino romano, pressato, canestrato siciliano, ecc.

Vini rossi di buona struttura, dal sentore di frutta, caldi, di media tannicità.

Formaggi a pasta dura cotta e molto stagionati: Grana padano stagionato, parmigiano reggiano, pecorino di Pienza, montasio stagionato, provolone piccante, bitto, bagoss, Murazzano, branzi, pecorino di Visso, pecorino di Enna, ecc.

Vini rossi di grande struttura e invecchiati, dal profumo abbastanza intenso e speziati, che abbiano avuto un passaggio in legno, molto equilibrati, giustamente tannici e caldi.

Formaggi a pasta erborinata e formaggi di fossa: Gorgonzola naturale, blu del Moncenisio, Castelmagno, bruss, puzzone di Moena, graukäse, formaggio di Talamello, pecorino di Moliterno, ecc.

Vini rossi di notevole gradazione e tannicità, dal profumo abbastanza intenso, abbastanza equilibrati, molto tannici, molto caldi ed anche vini bianchi suadenti, intensi, caldi.

Un discorso a parte meritano i formaggi di capra o di ovini, quindi avremo:

Formaggi caprini giovani:

Vini bianchi freschi e leggeri, profumati, appena morbidi, giustamente freddi e caldi di alcool.

Formaggi caprini maturi:

Grandi vini bianchi ricchi di profumi e caldi di alcool, come pure vini rossi di media struttura.

Formaggi caprini stagionati:

Vini rossi invecchiati di grande struttura, dal profumo intenso, mediamente equilibrati e sapidi, abbastanza tannici, molto caldi di alcool.

Il formaggio in tavola

È buona regola, quando si servono formaggi, preparare in tavola l’ampolla dell’olio extra vergine d’oliva e il macinapepe per condire quelli a pasta morbida; inoltre non deve mancare pane di diverse qualità, principalmente nero o integrale o di segale, e burro freschissimo e se possibile gherigli di noci fresche. Anche il sedano ed il prezzemolo tritato finemente ed altre erbe adatte per aromatizzare il formaggio possono essere servite come complemento. Alcune persone usano accompagnare i formaggi con patate bollite con la sua pelle. Quando il pranzo o la cena è a base di formaggi, prima si serviranno quelli dolci, delicati a pasta molle, poi quelli sempre a pasta molle ma più saporiti, a seguire quelli aromatici e anche piccanti, infine si passerà ai formaggi a pasta dura. Il formaggio va servito generalmente su un piatto unico o su un grande tagliere di legno o su un piatto di ceramica. Sul piatto di portata si dispongono i formaggi secondo il servizio: freschi, stagionati, a pasta molle e dura, lasciati per 30-40 minuti a temperatura ambiente. Sul piatto di portata è indispensabile mettere più coltelli: per formaggi teneri e freschi il coltello a spatola, per i formaggi semiduri un coltello munito di speciali rebbi, per quelli duri, tipo grana, l’apposito coltellino a forma di mandorla, infine per i formaggi particolarmente aromatici o piccanti è buona norma usare un coltello per ciascun formaggio. È utile anche un’apposita paletta e una particolare forchetta per tenere fermo il pezzo o la forma di formaggio mentre si taglia.

Due ricette:

SFORMATINI DI ASPARAGI CON FONDUTA DI RASCHERA

per 4/6 persone.

Per gli sformatini: 600 g di asparagi, un dl e mezzo di latte, 25 g di farina, 50 g di burro, 3 uova, 2 cucchiai di Bra duro grattugiato, 2 cucchiai di pangrattato, sale, pepe e noce moscata q.b.

Per la fonduta: 200 g di Raschera Dop, 2 tuorli, 8 cl di latte, 20 g di burro.

Tagliate il formaggio a dadini molto piccoli e mettetelo in una bacinella in acciaio con il latte in modo che ammorbidisca. Raschiate la parte inferiore degli asparagi, lavateli, lessateli in acqua bollente salata per 7/10 minuti, scolateli, tagliateli a pezzetti eliminando la parte dura, fateli saltare in 20 g di burro tenendo da parte qualche punta per decorare, poi frullateli. Preparate una besciamella molto densa con 20 g di burro, la farina ed il latte; insaporite con una presa di sale, una macinata di pepe ed una grattata di noce moscata. Unite la besciamella alla crema di asparagi e frullate il tutto aggiungendo le uova ed il formaggio grattugiato. Rovesciate il composto in 4/6 stampini imburrati e cosparsi di pan grattato e fate cuocere a bagnomaria in un forno già caldo (170°) per circa 30 minuti. Prendete la bacinella in acciaio contenente il Raschera, aggiungete il burro e fate sciogliere il formaggio a bagnomaria, mescolando dal basso verso l’alto. Incorporate i tuorli e fate addensare, sempre girando con un cucchiaio di legno. Togliete dal fuoco nel momento in cui la fonduta avrà assunto una consistenza cremosa e vellutata. Estraete gli sformatini dagli stampini ormai tiepidi. Fateli scaldare in forno quindi nappate i piatti con la fonduta ben calda. Sistemate sopra gli sformatini, guarnite con punte di asparagi tenute da parte e servite immediatamente.


MELANZANE RIPIENE DI CASTELMAGNO

Per 4 persone:


4 melanzane rotonde

300 gr di Castelmagno mediamente stagionato

2 uova

mezzo litro di latte

pan grattato, pepe, sale.

Tagliate le melanzane in verticale e praticate dei tagli abbastanza profondi nella polpa. Salate leggermente le otto mezze melanzane e mettetele in forno preriscaldato sui 150-180 °C. A metà cottura, levatele dal forno. Asportate buona parte della polpa e schiacciatela coi rebbi di una forchetta. In una terrina sbattete un uovo intero ed un tuorlo con un poco di latte. Unite il Castelmagno sbriciolato finemente, la polpa delle melanzane, una buona dose di pepe macinato e un pizzico di sale. Aggiungete ancora un poco di latte, per ottenere un composto fluido, ma consistente. Riempite le melanzane col composto, coprite col pan grattato e mettete nuovamente nel forno caldo per completare la cottura. Quando la superficie assume una bella colorazione dorata, le melanzane sono cotte. Servitele calde ornate di qualche piccolo pomodoro (qualità ciliegina) e foglie di basilico.

I FORMAGGI DEL PIEMONTE

Bettelmat

Blu del Moncenisio

Boves

Bra duro

Bra tenero

Bruss

Bruss di Castelmagno

Cachat

Caprino al pepe di Bagnolo

Caprino di Baceno

Caprino di Demonte

Caprino di Rimella

Caprino Ossolano

Caprino valle

Caso di Eva

Castelmagno

Cavrin di Coazze

Crescenza

Formaggio di caso

Formaggio in crema

Frachet

Giunca

Gorgonzola

Grana padano

Grasso d’alpe

Mezzapasta

Murazzano

Murianengo

Nostrale

Nostrano d’alpe

Nostrano di latteria

Ormea

Paglierina o Paglietta

Pecorino di Bagnolo

Pierino

Primolino

Raschera

Raschera d’alpeggio

Rebruchon

Robiola Alta Langa

Robiola d’Alba

Robiola del Bec

Robiola di Ceva

Robiola di Roccaverano

Sargnon

Sbrinz

Seirass del fen

Seirass del Lausun

Sora o Sola

Taleggio

Testun

Toma d’Alba

Toma del Bot

Toma del Maccagno

Toma della Valle di Susa

Toma della Valle Stura

Toma di Balme

Toma di Boves

Toma di Lanzo

Toma di Pragelato

Toma Piemontese

Tometta di Barge

Tomini del Talucco

Tomino montos

Tomino del Bec

Tomino del Mel

Tomino di Andrate

Tomino di Bosconero

Tomino di Sordevolo

Tomino di Talucco

Tuma

Tumet di Pralungo

Valcasotto

Zufi



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