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 Le saline di Ettore e Infersa
 29/12/2002 14.52.50

LE SALINE sulla VIA DEL SALE
Un ambiente estremo di particolare interesse ecologico

L’imprenditoria trapanese ha sempre avuto lungimiranza, costanza e perseveranza. Lo dimostra la storia dove essi sono stati maestri nelle tonnare, nella pesca, nella navigazione, nella lavorazione del corallo, in quella del marmo di Custonaci, nella lavorazione della vite e nella pratica del vino (Marsala e Passito) e non ultimo nella lavorazione e coltivazione del sale dalle saline dello Stagnone.

“Tornavo da Mozia e avevo bisogno di silenzio per far decantare le disordinate sensazioni dei giorni passati. Il mare dello Stagnone erra piatto come una lastra metallica, a tratti uccelli dalla forma insolita volavano bassi sullo specchio delle acque. Guardavo gli abbaglianti cumuli di sale, alcuni dei quali erano stati coperti con teglie. Avevo la sensazione che ci fosse qualcosa di incongruo nello spettacolo che stavo osservando. Un che di arcaico che non riuscivo a definire. Le tegole! Ecco cos’era. A proteggere il sale mi sarei aspettato teloni di plastica tenuti fermi da copertoni di gomma e, invece, la geometria perfetta dei coppi copriva quei cumuli preziosi con apparente spreco di energia e di costi. Ad ogni stagione i salinari dovevano ricostruire pazientemente e con perizia le coperture per poi disfarle nuovamente al momento del raccolto. Quanto sarebbe stato più sbrigativo stendere un telo di plastica! Ne chiesi ragione ad Antonio Dalì, Presidente delle saline. Mi rispose con estrema gentilezza nella sua parlata spagnolescamente ridondante. “Il sale è un alimento vivo, delicato nel suo equilibrio. Le tegole gli permettono di respirare, proteggendolo ed evitando nel contempo, di scaldarlo in modo eccessivo. Si potrebbero usare teli di plastica ma non avremmo lo stesso risultato. Preferiamo attenerci alle tecniche di un tempo per avere un prodotto di altissima qualità.”

Così scriveva Gianfilippo Pietra nel suo “Il viaggiatore incantato” raccontando un itinerario cultural-sentimentale in quella parte di Sicilia di sontuosa bellezza che è la provincia di Trapani, falce di terra posta alle falde del Monte Erice, lungo un promontorio inarcato che fa da spartiacque ideale fra il Tirreno e il Mediterraneo. La caratteristica forma falciata valse alla città di Trapani l’antico nome greco Drépanon, alla cui estrema punta si erge ancora maestosa la Torre di Ligny, torre di avvistamento edificata nel 1761, oggi sede del Museo di Preistoria. La costa che va da Marsala a Trapani, chiamata la Via del sale, permette di cogliere l’aspetto caratteristico tipico e quasi unico della coltivazione del sale che in quest’area, in cui il mare si confonde con la terra, si è determinato in un unicum ambientale e paesaggistico di grande valenza culturale, antropologica ed economica. La “Via del sale”, con i suoi mulini restaurati e i cumuli di sale ricoperti di tegole di terracotta, nella zona compresa tra le Riserve di Paceco e dello Stagnone di Marsala, rappresenta oggi uno dei luoghi più suggestivi che siano dati da vedere ai viaggiatori alla ricerca di natura intatta e immacolata.

La storia delle saline trapanesi e del sale

Le saline del trapanese risalgono al tempo dei Fenici. Si estendono per oltre 20 chilometri su un’area di 350 ettari lungo il litorale che va da Trapani a Marsala. La Provincia di Trapani ha impedito che lo sviluppo edilizio invadesse completamente le antiche saline creando una zona protetta dove nelle vasche di decantazione si pratica la pescicoltura e rare specie di volatili sono tornati a nidificare quali la starna dalle zampe nere, il pulcinella di mare, la damigella di Numidia. Alcuni mulini a vento sono stati ripristinati ed oggi si trovano in perfetta funzionalità in un ambiente unico e irripetibile. La Società Industriale Estrazione Sali, costituitasi all’inizio del secolo per la commercializzazione del prodotto, dopo l’ultima guerra ha saputo razionalizzare la produzione evitando nel contempo di operare interventi devastanti. Il sale di Trapani, pur costando notevolmente più di altri tipi, è ricercato soprattutto dai tedeschi e dalle industrie conserviere del Nord Italia. Ricco di potassio e magnesio, ha un minor tasso di sodio e una migliore solubilità, essenziale alla perfetta salatura di alimenti pregiati quali pesce, prosciutti e formaggi.

La produzione del sale è legata al fenomeno macroscopico, ma semplice e comprensibile, dell’evaporazione dell’acqua di mare e, pertanto, con ogni probabilità si rifà a pratiche remote quanto l’esistenza dell’uomo. Sul litorale che va a sud, da Trapani a Marsala e, a nord, fino a Monte Cofano, le saline rappresentano una platea litoranea di 1380 ettari. Qui, nelle più idonee condizioni ambientali, l’acqua del mare trascolora nelle caselle allineate in una affascinante scacchiera, sotto l’azione del sole e del vento e, diventa sale, grazie anche alla cura assidua e sapiente dell’uomo. L’elevata concentrazione del sale nelle acque del Mediterraneo e le condizioni climatiche idonee, (scarse precipitazioni, elevate temperature e frequenza del vento) consentono la produzione di sale di pregiata qualità e posizionano le saline di Trapani e di Marsala tra le più importanti d’Europa. I manufatti e gli invasi adibiti alla coltura del sale compongono un panorama insolito, cui determinate vicende hanno arrecato danni, non tutti riparabili, anche dal punto di vista paesaggistico.

Le saline di Trapani sono citate da Plinio e dal geografo Edrisi; Trapani, in epoca mussulmana fu chiamata la “città bianca” per l’estensione delle saline con la cristallina distesa dei cumuli di sale e le ali dei mulini a vento. Non si hanno riferimenti certi di saline antichissime, ma le memorie storiche ed i resti archeologici affermano di una lunga tradizione saliniera da Trapani fino alla zona costiera dello Stagnone, trasmessa dai Punici ai Romani ed ai Bizantini. I Punici, infatti, oltre che per l’uso alimentare, risulta che usavano il sale per le loro industrie: concia delle pelli, colorazione delle stoffe e conservazione dei cibi. Tali attività ruotavano intorno all’isola di Mothya, la città più importante che presidiava la pianura. In quell’epoca dovettero esistere, a Isola Grande nello Stagnone, vasche per l’evaporazione con proprie caratteristiche, cioè dei piccoli bacini per la coltura del sale. Scorrendo un lungo arco di tempo, è all’epoca romana che deve ascriversi l’attuale struttura delle vasche, cui gli Arabi avrebbero apportato nuovi espedienti tecnici e miglioramenti.

Le saline attuali sono costituite da una serie di vasche di forma variabile con argini in pietra di Favignana; costruite in prossimità del mare, sono rese intercomunicanti mediante saracinesche. Vengono suddivise in due gruppi: nel primo l’acqua del mare viene concentrata fino a saturazione di cloruro di sodio, mentre nel secondo il sale, a seguito dell’evaporazione si separa e si deposita nel fondo liscio ed impermeabilizzato. L’alta marea di marzo immette l’acqua del mare nella vasca dette “fredda”, dalla quale, con l’ausilio di un congegno chiamato “spira di Archimede”, azionato dai mulini a vento, viene sollevata ad una vasca superiore, detta “cruda”.

Le “crude” si dividono in vasche di coltivo e ''reddicalde'', in esse l’acqua staziona per poi passare, attraverso le “messaggere” o “ruffiane”, nella “calde” poste ad un livello inferiore. In queste ultime si concentra, acquistando una colorazione rossastra emanando un odore caratteristico. Poi le acque vengono sollevate nelle “salinelle” o vasche di cristallizzazione, suddivise in caselle, dove, con graduale evaporazione, si comincia a separare il sale, che viene via via raccolto. La raccolta del sale, depositato in uno strato di 10 cm., inizia nel mese di luglio e dura fino a settembre/ottobre. Il sale grezzo viene ammucchiato in spazi detti “arioni” ed esposto alle prime piogge, che lavano il solfato di magnesio; poi i mucchi vengono ricoperti con tegole. Fino alla metà del 1400 la presenza delle saline dovette essere limitata poiché il sale trapanese era utilizzato solo per il fabbisogno locale. Gli stati italiani e Venezia privilegiavano i prodotti della Sardegna, di Cipro e Ibiza. Forse esisteva una sola grande salina, che si estendeva dalla stazione ferroviaria fino alla Basilica della Madonna, la salina Milo, della quale esistono sicuri riferimenti già alla fine del 1300.

Una parte di essa, lungo l’asse dell’attuale via Virgilio, fu venduta dai Milo ai Gesuiti, che crearono la salina del Collegio, la seconda in ordine di grandezza dopo la salina di Altavilla. Tra essa e l’antico centro storico, nella zona in cui nel 1500 erano state edificate le mura di Carlo V° ed il Bastione dell’Impossibile, si estendeva un’altra salina. Di contro viene sostenuto che la più antica salina del trapanese sia stata quella di Salina Grande, concessa in feudo nel 1351 a tale Roberto De Naso. E’ dubbia l’esistenza, già nella stessa epoca, di una salina a tramontana presso la cappella dei Santi Cosma e Damiano, che risulta concessa, intorno al 1504, a Antonuccio de Anselmo. Successivamente le saline presero a svilupparsi dall’interno verso ponente e da Trapani verso Marsala, negli stagni, secche e bassifondi naturalmente idonei e più vicini al porto di Trapani, che è sempre stato il porto d’imbarco per il commercio del sale e la cui attività è stata molto influenzata dalla sua produzione e commercializzazione. L’attività e l’espansione delle saline toccò la punta massima tra la metà del 1400 ed i primi decenni del 1500, epoca di ricchezza di cui Trapani conserva prestigiosi palazzi e monumenti, nella quale furono costruite tutte le saline esterne, cioè quelle ubicate nell’odierna zona industriale: la salina del Garraffo, la salina Reda, oggi in parte interrata, e la Abrignano. Le saline che si trovano di fronte l’isola di Mothya risalgono al 1508 e formavano un’unica salina con quelle coeve di Altavilla.

Saline Ettore e Infersa

Oggi le Saline Ettore e Infersa con i loro tre mulini restaurati e funzionanti consentono la coltura e la raccolta del sale coniugando mirabilmente industria produttiva e rispetto dell’ambiente, avvalendosi della salinità propria delle acque della laguna, della forza del vento catturata dai mulini e dal calore del sole. Mare, sole e vento sono gli ingredienti per ottenere un sale ricco di oligoelementi contenuti nell’acqua marina (potassio, magnesio, calcio, ferro, iodio). Il sale marino confrontato al salgemma risulta essere di gran lunga migliore per l’alimentazione umana quotidiana. Infatti è più completo in quanto i diversi sali che lo compongono sono armoniosamente combinati tra loro; è più delicato in quanto proprio la presenza di altri sali utili all’organismo, quali il potassio e il magnesio, lo rendono più ricco e solubile. La maggiore solubilità conferisce a questo prodotto facilità di penetrazione nelle carni, nei formaggi e nei cibi in genere, ma anche una più intensa sapidità. Nel condimento dei cibi, sono sufficienti quantità di prodotto ben più modeste rispetto ad altri sali. Tutto ciò comporta come naturale conseguenza, una riduzione dell’apporto di cloruro di sodio, elemento ritenuto responsabile di affezioni circolatorie e renali, e del quale, comunque, è sempre opportuno non abusare.

Per informazioni sulle visite guidate alle Saline Ettore e Infersa
Cilas Tour srl
0039.0923.96.69.36


articolo di Rocco Lettieri - agosto 2000


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